In una città che potrebbe essere stata Venezia, se non fosse per il colore del cielo, troppo incline al turchese, e per le strade, troppo labirintiche anche per un labirinto, viveva Paolo, un pittore la cui fama non aveva ancora oltrepassato i confini delle sue quattro mura, e forse neanche tutti e quattro.
Paolo dipingeva, o meglio, si diceva che dipingesse, perché nessuno aveva mai visto un suo quadro, tranne lui stesso. E forse nemmeno lui, visto che tendeva a lavorare di notte, alla luce fioca di una candela che danzava al ritmo del vento che si insinuava dalle fessure delle finestre.
Una notte, una notte non diversa da tutte le altre se non per il fatto che era inesorabilmente seguita al giorno precedente e sarebbe stata inevitabilmente precedente al giorno seguente, Paolo si trovò davanti a una tela bianca, più bianca di quanto potesse ricordare. Questa tela non era una tela qualsiasi; era una tela che aveva trovato, o che lo aveva trovato, in un angolo dimenticato del mercato, coperta di polvere e di promesse.
Senza pensare, forse guidato da una mano che non era la sua o forse da un desiderio sepolto sotto strati di dubbi e di colori non mescolati, Paolo iniziò a dipingere. Dipinse un gatto, ma non un gatto qualunque; un gatto che sorrideva con la malizia di chi sa di essere, contemporaneamente, sia il soggetto che l'oggetto di uno scherzo cosmico. Dipinse un albero, ma non un albero qualunque; un albero che suonava una chitarra, forse perché nessuno gli aveva mai detto che gli alberi non suonano le chitarre, o forse perché, semplicemente, non gli importava. E infine, dipinse una luna, ma non una luna qualunque; una luna che declamava poesie d'amore e di disamore, perché la luna è innamorata del sole e il sole di un altro sole, in un amore a distanza che misura la distanza stessa.
Quando il sole, il vero sole, quello che rispetta il suo ruolo di sole, fece capolino attraverso le fessure delle finestre, Paolo si addormentò, stanco ma soddisfatto, o soddisfatto ma stanco. Al suo risveglio, la stanza era vuota, la tela bianca, e il gatto, l'albero e la luna erano scomparsi. O forse non erano mai stati lì.
Giorni dopo, un rumoroso silenzio cominciò a diffondersi per la città. Si diceva che in una piazza che non era segnata sulle mappe, perché le mappe si dimenticano sempre qualcosa, c'era un gatto che sorrideva a tutti, un albero che suonava una chitarra, e una luna, sì, proprio una luna, che di notte, quando la luna è abituata a uscire, declamava poesie.
Paolo non disse nulla, forse perché non sapeva cosa dire, o forse perché sapeva troppo bene che certe cose non hanno bisogno di essere dette. Continuò a dipingere, di notte, alla luce di una candela che danzava al ritmo del vento, in una città che potrebbe essere stata Venezia, se non fosse stato per il gatto, l'albero e la luna, che non erano proprio da Venezia.