Marco, ventitreenne con una laurea in economia e commercio (conseguita più per inerzia familiare che per reale interesse), decise un martedì pomeriggio - mentre masticava distrattamente un panino al tonno scaduto da tre giorni - di diventare un ritrattista. Non che avesse mai disegnato prima, se si escludono gli scarabocchi sui margini dei quaderni durante le interminabili lezioni di macroeconomia, ma questo dettaglio gli sembrava trascurabile, come trascurabile gli sembrava il fatto di non aver mai visto un quadro dal vivo, se non quello appeso nel bagno dei suoi genitori raffigurante un'improbabile scena di caccia alla volpe in un paesaggio che sembrava più marziano che inglese..
Armato di una determinazione inversamente proporzionale alle sue abilità, Marco si procurò una matita 2B (scelta basata esclusivamente sul fatto che "2B or not 2B" gli sembrava un gioco di parole sufficientemente artistico) e un blocco da disegno formato A4 (perché l'A3 gli sembrava pretenzioso e l'A5 troppo timido).
Il suo primo soggetto fu la vicina di casa, una signora ottantenne con una passione per i gatti persiani e una fobia per le banane (La fobia per le banane non è rilevante ai fini della storia, ma mi sembra un dettaglio troppo succulento per essere omesso). Il risultato fu un ibrido tra un Picasso ubriaco e un incidente stradale disegnato da un bambino di tre anni.
Dopo 17 tentativi fallimentari, di cui gli ultimi 5 realizzati con gli occhi chiusi, nella speranza che il subconscio artistico prendesse miracolosamente il sopravvento, Marco ebbe l'illuminazione: forse, ma solo forse, avrebbe dovuto imparare le basi del disegno prima di proclamarsi il nuovo Da Vinci del condominio.
Questa epifania lo portò a una spirale di autoriflessione quasi proustiana (con la differenza che Proust aveva talento e una madeleine, mentre lui aveva solo una confezione di biscotti stantii e una crescente consapevolezza della propria mediocrità artistica), Marco si impegnò nell'acquisto compulsivo di 37 libri sul disegno (di cui 36 mai aperti), 12 corsi online (11 abbandonati dopo i primi 3 minuti) e un manichino anatomico in legno che finì per usare come appendiabiti di fortuna.
Fu solo quando, in un momento di disperazione creativa, Marco tentò di disegnare il proprio riflesso nello schermo nero del laptop. Un'esperienza che potremmo definire meta-artistica, se non fosse che il risultato assomigliava più a un test di Rorschach che a un autoritratto, che raggiunse il nadir della sua carriera artistica e, contemporaneamente, lo zenit della sua autoconsapevolezza. Realizzò che l'arte, come l'economia, richiedeva basi solide, pratica costante e, possibilmente, un talento minimo di partenza.
Con rinnovata umiltà, Marco si iscrisse a un corso base di disegno al centro culturale locale, dove scoprì che il suo vero talento era organizzare i pennarelli per colore - un'abilità sorprendentemente apprezzata nel mondo del riordino professionale, che divenne la sua improbabile ma soddisfacente carriera futura.