In questo strambo momento storico, parlar di pittura senza menzionare il fiorire di 'opere' che si autoproclamano 'arte moderna' è come cercare di spiegare Roma senza citare il Colosseo. Mi sforzo di ricordare, frugando nella polverosa biblioteca della storia dell'arte, un'epoca in cui un congruo numero di artisti, con un bel gesto alla 'via le mani di dosso', abbiano messo da parte l'artigianato di qualità per 'esprimersi più liberamente'. È un po' come se Michelangelo avesse deciso di scolpire la Pietà con il Play-Doh. E poi, questa fissazione per le tecniche grezze di popoli che consideravano l'arte un buon passatempo tra una caccia al mammut e l'altra.
C'era, certo, quel periodo 'vintage' nella scultura greca, ma lì si lavorava fine, non era roba grezza come certi 'capolavori' moderni che sembrano fatti in pausa caffè. Era più un 'ritorno alle origini', un modo per dire 'abbasso il troppo realismo, ci sta ammorbidendo'. Ma questa rivoluzione moderna, questa specie di ribellione contro la maestria nell'arte, merita un minimo di riflessione.
Allora, facciamoci una corsa, ma occhio alle buche: diamo un'occhiata alle influenze Social e Tecniche che hanno generato questo bel guazzabuglio artistico."
In questo calderone che chiamiamo 'influenze sociali', stiamo navigando in acque più incerte di un gommone senza remi. Ogni epoca ha la sua colonna sonora, il suo 'motivetto culturale' che fa da sottofondo, un po' come la musica in ascensore: c'è ma quasi non ci fai caso, finché non ti ritrovi a canticchiarla sotto la doccia. E questa melodia sembra seguire un percorso, come se avesse il GPS, influenzata un po' da chi tiene il volante del potere.
Pensa al Rinascimento, quando la Chiesa era tipo l'influencer del Medioevo, e l'arte era il suo Instagram, pieno di selfie angelici e paesaggi celesti. Poi ci sono gli olandesi, che una volta messa su la loro repubblica, hanno iniziato a dipingere come se ogni quadro fosse un episodio di 'Casa dolce casa'.
Saltiamo al nostro bel Settecento, l'epoca in cui l'arte era più pomposa di una festa di compleanno per gatti aristocratici, con tutti quei ritratti che sembravano dire 'Guarda quanto sono importante'. Ma poi arriva l'Ottocento, e con la borghesia al potere, l'arte diventa realista, quasi un 'Dillo con un quadro': basta fronzoli, vogliamo vedere la vita come è, anche se a volte fa un po' schifo.
E non dimentichiamoci del romanticismo, quel momento 'emo' dell'arte, che forse non sembra tanto borghese, ma alla fine, chi se lo poteva permettere se non loro? Gli inglesi, poi, con il loro amore per il 'non ci siamo sbagliati, era tutto calcolato', hanno partorito il movimento preraffaellita, un cocktail artistico che è un po' come mettere insieme punk rock e lirica, e aspettarsi che esca fuori una sinfonia.
Insomma, in questo viaggio attraverso le influenze sociali nell'arte, ci ritroviamo a fare i conti con una storia che è più zigzagante di una partita di Snake sul vecchio Nokia. E ti lascia lì, a pensare che forse, in fondo, l'arte è un po' come noi: un mix confuso ma affascinante di tutto quello che ci passa intorno."
Poi c'è Internet e i social nel ventunesimo secolo, che hanno cambiato tutto. L'arte dovrebbe riflettere la voce della massa, ma invece c'è un sacco di agitazione. Pare che il caos culturale di oggi venga da questo nuovo gruppo un po' grezzo che si è unito alla festa della cultura. C'è energia da vendere, ma il rischio è che distruggano cose belle senza nemmeno accorgersene, per ignoranza.
Adesso chiunque può dire la sua, e troverà sempre qualcuno pronto ad ascoltare. I social hanno dato voce a tutti, e questo mescola le carte. La cultura adesso deve fare i conti con meme e trend che vanno e vengono in un lampo. L'arte alta deve lottare per attirare l'attenzione in mezzo a video di gattini e tweet da due soldi. La sfida ora è capire come questa nuova voce, un po' rozza ma piena di vita, possa arricchire la scena senza mettere tutto sottosopra, e come si fa a tenere il timone in questo mare di informazioni, senza farsi sommergere.
La democrazia ha gonfiato il palcoscenico della vita pubblica a dismisura, tanto che sembra che solo chi urla possa farsi notare. Sai, quelli tranquilli, quelli che hanno qualcosa da dire e che magari dureranno più a lungo, si perdono nel trambusto. C'è un po' la legge del "chi urla di più, ha ragione" - ma come diceva Joubert, "Le correnti più violente colpiscono subito, ma sono quelle calme a resistere nel tempo". Oggi se non alzi la voce, sei fuori. E queste voci roche, un po' alla "bar sport", non tollerano quello che non capiscono, vedono come nemico tutto ciò che sa di più raffinato.
Mi viene da pensare che le grandi masse non siano il terreno migliore per far sbocciare l'arte con la A maiuscola. Le opere d'arte che ci hanno cambiato la vita sono nate in posti più raccolti, pensa ad Atene o alle città-stato italiane durante il Rinascimento. Lì, se avevi un talento spiccato, spiccavi davvero, avevi spazio per mostrare quello che sapevi fare. Invece, nelle grandi comunità, rischi di essere sommerso dalla massa, a meno che il tuo genio non prenda una strada un po' più... diciamo, esplosiva, che ti fa saltare agli occhi di tutti. E così, finisce che si dà troppo credito a chi si esprime in modo un po' troppo bizzarro o estremo.
L'uso delle parolacce da parte di chi non le manda a dire è scusabile, perché questi, poveracci, non hanno la scaltrezza per trovare o la conoscenza di quelle parole giuste che potrebbero esprimere con forza quello che vogliono dire. E non riuscendo a dare peso alle loro parole con termini appropriati, lanciano nell'aria qualche espressione sgradevole, completamente fuori contesto, come un cattivo odore, ma in grado di dare uno scossone; il che li soddisfa, dandogli l'illusione di aver detto qualcosa di impattante. Questo uso violento dei colori e delle forme adottato da molta dell'arte cosiddetta avanzata di oggi, è proprio come le parolacce. Vogliono creare scalpore, ma non avendo la scaltrezza per usare i meravigliosi strumenti di espressione che sono a disposizione dell'artista moderno che è disposto a seguire la strada stretta e retta, distruggerebbero i vincoli della tradizione e si precipiterebbero sull'uso di gialli osceni e rossi stridenti, di linee in conflitto e piani discordanti, al posto di avere qualcosa di veramente incisivo da dire.